Alla ricerca di una Guida

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  1. Dalilah di Musta'sim
     
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    [Credits: djahal (Jeoffrey Thoorens) - Deviantart]



    Periodo: Un anno prima del Summit.



    Fondare da zero un Regno non era cosa da tutti e soprattutto non era un proposito che si poteva concludere nel giro di una settimana.
    Per fondare un Regno infatti servivano prima di tutto molti soldi, una vasta conoscenza dei settori della Politica e della Legge, un territorio libero e una popolazione pronta a perorare la causa di uno.
    Dalilah, di tutti questi ingredienti, ne possedeva soltanto uno, ovvero il denaro.

    I suoi sogni di bambina e le sue più grandi aspirazioni da un po' di tempo a quella parte continuavano a naufragare contro scogli insormontabili, demoralizzandola parecchio: da quando Musta'sim, la sua terra natia, era stata rasa al suolo da Matal Mogamett, nessuno aveva più avuto il coraggio di proferire il nome di un Regno che un tempo era stato brillante e all'avanguardia per timore di incorrere nelle ire del potente mago a capo di Magnostadt ed ella non era ancora riuscita a trovare un seguito abbastanza grande che potesse appoggiarla nella sua missione di rinascita del Regno caduto in disgrazia diversi anni prima. Inoltre non poteva di certo andare a combattere completamente sola per una causa a cui era votata senza passare per sciocca o direttamente per folle, quindi tutti i suoi buoni propositi erano rimasti celati dietro una facciata di apparente noncuranza per moltissimo tempo.

    “Prima di compiere qualsiasi passo devo racimolare tutti gli ingredienti che mi servono allo scopo” si era dunque detta durante un periodo di profonda crisi, nel quale più volte era stata sul punto di mollare tutto e fingere di non essere mai stata tanto cocciuta, ma qualcosa dentro sé l'aveva spronata a continuare, a dare il meglio di sé ancora una volta e per questo motivo Dalilah aveva ripreso le sue ricerche e gli studi attraversando numerosi regni e viaggiando persino per mare.
    A venirle incontro ad un certo punto era stato anche il Fato, il quale le aveva servito su un piatto d'argento un ulteriore sprone per indurla a perorare quella causa che per quasi tutta la vita aveva guidato i suoi passi: la morte di Matal Mogamett, avvenuta durante il disastroso scontro tenutosi in quel di Magnostadt.

    La notizia era giunta quasi per caso all'orecchio della sopravvissuta e per un po' ella non aveva voluto crederci, essendo diffidente per natura ai pettegolezzi usciti dalle bocche dei mercanti, quindi si era messa nuovamente in marcia alla volta della città-stato che ora sorgeva su quella che un tempo era stata la sua casa e soltanto ivi ebbe modo di appurare i fatti.
    Quando finalmente le voci che aveva udito trovarono fondamento nella realtà dei fatti, Dalilah decise di mettersi in viaggio ancora una volta alla ricerca di un esempio da seguire, dal momento che da sola avrebbe fatto ben poco e la sua carenza di conoscenza in campo legislativo e politico la metteva seriamente a disagio.
    Non si sarebbe mai sognata di fondare un Regno senza saper prima tutto il necessario per il suo futuro mantenimento, per questo necessitava di insegnamenti e di consigli da parte di chi, prima di lei, aveva affrontato il grande passo di far sorgere dal nulla una Nazione.

    L'esempio perfetto sembrò trovarlo in Jasmine Ràjah, una conquistatrice di Dungeon che, apparentemente dal nulla, aveva fondato un Regno tutto suo in un arcipelago nei mari del sud.
    Per Dalilah quella figura femminile era ben presto divenuta un'icona da emulare e colta da un entusiasmo che da molto tempo non infiammava il suo animo, decise di imbarcarsi alla volta di quel piccolo arcipelago situato poco distante da Sindria e Toran.
    Il primo ostacolo si presentò al momento di imbarcarsi, dal momento che molte delle navi situate nel porto di Balbadd non erano predisposte al trasporto di passeggeri comuni; nonostante i diversi “no” ricevuti dai capitani e le risate di scherno che spesso si sentì rivolgere, Dalilah alla fine riuscì a trovare un'imbarcazione diretta proprio a Toru pronta ad accoglierla a bordo come passeggero.

    La fanciulla s'imbarcò il giorno stesso in cui il Fato decise ancora una volta di donarle un'opportunità e il viaggio ebbe inizio.
    Come c'era da aspettarsi non fu tutto semplicissimo: la traversata si dimostrò ben presto essere lunga ed estenuante, in aggiunta a ciò le condizioni atmosferiche spesso e volentieri furono avverse e così anche il mare perennemente agitato, ma in tutto quel trambusto e quel navigare agitato Dalilah riuscì a riscoprire il significato di perseveranza e grazie ad essa riuscì a sostenere quella traversata oceanica alquanto faticosa col cuore gonfio di speranza e di determinazione.

    Quando finalmente il profilo dell'arcipelago si delineò nitidamente agli occhi dei marinai, Dalilah accorse sul ponte per ammirare con i propri occhi la meravigliosa imponenza di quelle isole scure e fitte di vegetazione che si profilavano all'orizzonte; non attese molto prima di impugnare un pezzetto di carbone per eseguire un rapido schizzo delle isole sul suo quadernetto degli appunti fatto di pergamene ripiegate e trattenute da uno spago spesso.
    Il cuore in quei frangenti concitati le batteva talmente forte che se non avesse mantenuto un certo autocontrollo sarebbe sicuramente scoppiato dalla gioia e quel brio la riempì di un'energia nuova e sana, capace di guidarla incolume fino al porto di Toru assieme al resto dell'equipaggio esultante per la buona riuscita della traversata.

    Il porto del Regno di Toru si presentò come un ensemble di voci, suoni, profumi e colori incredibili quasi quanto il colore estremamente scuro delle spiagge che digradavano proprio in quella zona.
    Le scogliere alte e impervie, la fitta vegetazione che si stagliava imponente verso il cielo come una nube smeraldina e l'odore d'acqua salmastra tramortirono i sensi di Dalilah, ormai fuori controllo per l'emozione e la frenesia che la spingeva a rivolgere lo sguardo in ogni singolo anfratto alla ricerca di un dettaglio, un viso differente da quelli che aveva sempre osservato per poterlo studiare attentamente e poterne appuntare le peculiarità nel proprio quaderno degli appunti.
    “È incredibile... Non riesco a credere di essere giunta fin qui” continuava a ripetersi mentalmente, mentre avanzava verso l'entroterra con il naso all'insù e un sorriso ebete che si rifletteva nello sguardo trasognato, pronto a scattare in ogni angolo di quella terra a lei ignota.

    Una volta placato l'entusiasmo iniziale, per Dalilah ebbe finalmente inizio la missione per cui tanto aveva viaggiato e mentre risaliva il centro cittadino tra una pausa e l'altra a causa dell'affaticamento, la fanciulla si prese la briga di chiedere informazioni riguardanti Jasmine e la sua attuale posizione così da poterla raggiungere e chiederle educatamente consigli sul da farsi.
    Qualcuno le disse di averla intravista a palazzo, altri invece non seppero proprio risponderle, quindi la giovane si avviò verso la parte più alta dell'isola, sulla quale sorgeva per l'appunto il palazzo reale ancora in allestimento e dopo un paio d'ore di scarpinate Dalilah riuscì a raggiungere l'imponente edificio a picco sulla scogliera.

    “Prima di entrare... Meglio prendere un po' d'aria e fare una pausa” si disse mentalmente, mentre camminava distrattamente nei pressi del palazzo reale godendosi il vento fresco e il panorama mozzafiato che si godeva da quell'altezza notevole: la distesa d'acqua s'estendeva infatti fino all'orizzonte, unendosi al cielo terso in un punto non indefinito troppo distante per essere individuato. Da lontano giungeva il suono delle onde che s'infrangevano a ridosso degli scogli, mentre tutto attorno a sé le chiome delle piante verdeggianti venivano scosse dal vento e quei suoni così concilianti spinsero la giovane a chiudere gli occhi per goderne a pieno la melodia, mentre un sorriso sollevato andava dipingendosi sulle labbra rosee.

    Edited by Grande Flusso - 15/4/2017, 18:04
     
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    Dall'alto della sua ben poca modestia, Jasmine si riteneva assolutamente orgogliosa dei progressi che aveva fatto con l'arcipelago Toru. Non fu affatto semplice ma la sua volontà era d'acciaio e la sua scaltrezza era forte il doppio.
    Ad oggi, il Regno di Toru era ancora in crescita: la città capitale, Toru, sorgeva su un punto rialzato dell'isola Jazira - la più grande tra le cinque abitate - ed era un agglomerato di case e piccoli villini tutti muniti di porticato con tende di seta colorate e infissi in mosaico.
    Si notava, tra le strade, come la città non fosse stretta e claustrofobica: i mahalli, nativi di Toru, insistettero molto con Jasmine per non distruggere eccessivamente la natura ma solo lo stretto indispensabile e lei li aveva accontentati.
    L'arcipelago era oscuro, le sue coste più interne risultavano un vero dramma per molte navi: dal momento che si trattava della caldera di un antico vulcano spento, le correnti che conducevano alle profondità del cratere erano forti e difficoltose per i velieri mercantili. Almeno inizialmente, prima di trovare una soluzione e far attraccare le navi più lontano dal lato interno.
    Le scogliere scure erano quasi spaventose e scoraggianti, forse, per i primissimi visitatori del posto; inquietanti erano anche i promontori rocciosi e leggermente coperti di vegetazione, disabitati, che svettavano dalle onde come denti affilati di un’enorme bocca vorace.
    La giungla era fitta, umida, e piuttosto pericolosa se non si conoscevano le piante mortali e la fauna dell'arcipelago; il suo aspetto oscuro, unito alle sabbie nere vulcaniche e il resto dell'ambiente, facevano di Toru un luogo inquietante.
    In realtà, dietro quella facciata spinosa, c'erano nascosti tesori intangibili e culture ancora sconosciute a chi non voleva guardare.
    Jasmine era semplicemente stata abbastanza sveglia da non lasciarsi intimorire ed andare a fondo del suo viaggio.
    Come era finita una semplice fanciulletta in un luogo dimenticato da dio? Semplicemente, a spingerla così lontano, fu il bisogno di trovare un luogo sicuro in cui nascondere i suoi tesori. L'idea di fondare un regno le venne dopo, dopo aver incontrato i mahalli ed aver esplorato l'isola Jazira. Al tempo aveva solo diciassette anni ma la sete di potere aveva già cominciato a bussare alle porte della mente. Non fu semplice e ci volle qualche anno prima di conquistare la fiducia completa del popolo nativo: il capo della comunità religiosa bandiva il progresso, mentre il "capo tribù" lo ricercava. C'erano fazioni, scontri.. ma alla fine, il conservatore fu debellato.
    A ventinove anni, Jasmine era sì considerata una personalità di spicco nel mondo e la sua fama era nota pressoché a tutti i governanti, ma non era regina. Non ancora, almeno.

    La città era stata rimessa in sesto, sistemata e ristrutturata sopra case già esistenti; il porto era stato tirato su da zero così come il palazzo reale. Quest'ultimo ora, dopo cinque anni di lavoro, era finalmente completato ed era cominciata l'opera d'arredamento.
    Jasmine era all’interno, nel grande atrio scuro, con marmo nero e rifiniture in oro, setose tende blu tra gli archi delle pareti che conducevano in altri antri; i lampadari di vetro producevano un gioco di luci colorate sul pavimento. Era ancora un salone per lo più vuoto, così come il resto della casa, eccetto alcune aree quali lo studio personale della padrona, la sua camera da letto e la sala da pranzo.

    La conquistatrice di dungeon era in piedi lì nell’atrio, dall’atteggiamento fiero e autoritario. Lunghi capelli, lisci, nero corvino e lucidi come il marmo scuro del pavimento ricadevano lungo la schiena e raggiungevano l’osso sacro; il corpo era fasciato interamente da indumenti stretti, in pelle nera, con placche d’armatura su stinchi, avanbracci e spalle. Dalle spalliere metalliche sbucava un morbido mantello blu come la notte, che sfiorava solo un poco la pavimentazione della reggia; al fianco aveva una cintura su cui era agganciata la scimitarra. Ciocche di capelli scuri ombravano il lato destro del volto, ma era chiaramente distinguibile la presenza di una nera benda di metallo sull’occhio e che, tuttavia, lasciava libero il sopracciglio. L’occhio sano era contornato da trucco nero in Kohl, ben delineato, che risaltava il colore magenta dell’iride; appena più in basso, tre piccole sfere di grandezza crescente tatuate lì.
    Con la mano destra teneva un taccuino, su cui era scritto frettolosamente l’inventario di tutti i pregiati mobili del palazzo e solo vicino ad alcuni c’era una piccola croce che segnava la loro presenza lì dentro.
    Isla, sua cara amica di Heliohapt nonché progettatrice del palazzo reale, le si avvicinò.

    «La nave con le stoffe da Balbadd è appena arrivata» la informò, con un cenno del capo.
    Jasmine si limitò ad annuire, prima di risponderle. «Ci sono novità?»
    «Nessuna, pare che abbiano avuto qualche difficoltà durante il viaggio, tutto qui.»

    Sul viso della bruna comparve l’ombra di un sorriso divertito, ma non disse altro e liquidò Isla restando in silenzio. Solo qualche momento dopo uscì dal palazzo e si appoggiò alla ringhiera della grossa terrazza di fronte alla reggia, sopraelevata rispetto al resto delle abitazioni: da lì, Jasmine poteva vedere tutto. Tutta Jazira, e tutte le cinque isole minori abitate e gli scogli con le torri di vedetta nascoste nella vegetazione. Con un buon binocolo, sarebbe persino riuscita a scorgere il profilo dell’Arcipelago Toran.
    La nave di Balbadd era lì, attraccata al porto, e vedeva un gran movimento per le strade e nella piazza principale… come al solito d’altronde; le chiacchiere e le musiche di strada le giungevano fin lì, accompagnate dall’infrangersi delle onde sulla scogliera e dal verso dei gabbiani nel cielo. La brezza soffiò leggera, portando con sé l’odore di salsedine e di incenso.
     
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  3. Dalilah di Musta'sim
     
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    Non seppe dire quanto tempo trascorse lì, sulla sommità dell'isola a guardare il panorama mozzafiato della distesa d'acqua salata che si estendeva fino a fondersi con l'orizzonte e il cielo completamente limpido, ma ne godette appieno ogni istante e il senso di pace che lentamente si fece largo nella sua anima arrivò a pervaderla completamente, conferendole una nuova grinta per affrontare gli ostacoli che nitidi si prospettavano al suo, di orizzonte.

    Rinvigorita dalla brezza che sapeva di sale ed incenso, Dalilah decise finalmente di muoversi e guidare i propri passi in direzione dell'entrata principale del castello che si ergeva in tutta la sua meravigliosa imponenza proprio dinnanzi a sé; portandosi una mano alla fronte per tutelare la vista dai raggi del sole inclemente con gli occhi, la fanciulla sollevò il capo per poterne ammirare meglio la struttura architettonica e il gioco di decori che lo rendeva veramente pregevole e soltanto allora notò, poggiata contro una balconata, una donna dai capelli neri come il carbone.
    “Chissà chi è” si chiese mentalmente, avanzando lenta con il capo sempre rivolto verso l'alto e una mano perennemente posta sulla fronte come parasole: quella figura femminile emanava un'aria di forza ed eleganza al contempo e per quanto fosse difficile scorgere ulteriori dettagli su di essa da quella distanza Dalilah si sentì quasi in imbarazzo ad osservarla tanto insistentemente.
    Di certo mettersi a fissare la gente non era segno di buona educazione, specialmente in terra straniera e nei pressi di una reggia.

    Abbassando dunque lo sguardo per rivolgerlo all'entrata posta proprio davanti a sé, la giovane conquistatrice di Dungeon decise di convogliare tutta la propria curiosità alla causa che aveva deciso di perorare e per la quale si era fatta tutti quei giorni di viaggio in mare aperto.
    Passo dopo passo, accompagnata dal suono delle onde che continuamente si infrangevano contro le scogliere e dal fruscio delle fronde scosse dal vento, Dalilah s'addentrò nel castello della celeberrima Jasmine, alla ricerca di qualcuno che potesse guidarla verso quelle verità e quei saggi consigli che presto o tardi le sarebbero tornati utili per fondare nuovamente Musta'sim.

    “Chissà come potrebbero prendere la notizia della rinascita di un regno che un tempo non godeva proprio di una bella fama” ebbe modo di pensare la giovane, mentre avanzava senza sapere chiaramente dove si stesse dirigendo con una mano posata sulla bocca e le dita che massaggiavano pensose la gota: spesso si era interrogata sulle possibili reazioni da parte di coloro che un giorno avrebbero avuto modo di udire i suoi progetti e le risposte che si era data non erano delle più confortanti. Talvolta infatti credeva che le avrebbero sbattuto la porta in faccia dopo averla riempita di insulti e maledizioni, altre volte invece si rassegnava all'idea che l'avrebbero semplicemente ignorata, etichettandola come pazza. Mai e poi mai si era immaginata un possibile esito positivo e per questo motivo aveva esitato tanto, prima di osare anche solo avvicinarsi a qualcuno che conoscesse l'arte della legge e della politica più di lei.
    Ma ora le cose stavano cambiando proprio sotto ai suoi occhi e i suoi passi l'avevano guidata fin lì, a Jazira, l'isola principale del Regno di Toru. Stava percorrendo un lungo e maestoso corridoio alla ricerca di una donna che, come e prima di lei, aveva fondato un suo Regno dal nulla più assoluto sfidando tutto e tutti, riuscendovi.

    “Io non fallirò” si disse mentalmente, incoraggiandosi al contempo mentre lasciava ricadere la mano lungo il fianco dal quale pendeva il fioretto foderato, stringendola a pugno per farsi forza nel momento del bisogno. Proprio in quel momento due figure che prima non aveva notato la afferrarono per le braccia saldamente e, senza nemmeno guardarla negli occhi, la guidarono dritta dritta verso il cuore di quel palazzo chiaramente in fase d'arredamento.
    Un brivido gelido attraversò la schiena di Dalilah, raffreddandole completamente il sangue che le scorreva nelle vene; una goccia di sudore gelato le scese lungo la nuca, insinuandosi tra le pieghe dell'abito rosso aderente e segnandole tutta la colonna vertebrale facendola rabbrividire.
    Le guardie parvero accorgersene, perché la strinsero con maggior enfasi e continuarono la loro avanzata verso quella che presto si palesò agli occhi di Dalilah come una sala estremamente grande e decisamente spoglia.

    Una volta giunti ivi, una delle guardie si allontanò lasciandole libero finalmente il braccio sinistro che nel frattempo si era indolenzito al punto tale da formicolare; scrollandolo un paio di volte la sensibilità sembrò tornare e la guardia che ancora le reggeva l'altro braccio la guardò in modo alquanto torvo. La fanciulla, in tutta risposta, scrollò la spalla libera indicando con un cenno del capo il proprio braccio libero, cercando di far convogliare l'attenzione della guardia stessa sul segno rosso che il suo compagno le aveva lasciato sulla pelle candida ma senza mai fiatare: sapeva troppo bene che emettere anche solo un fiato le sarebbe costato qualche sorta di punizione e ribellarsi sarebbe potuto essere completamente inutile.
    Comportandosi come una brava ragazza e lasciandosi guidare fin dove desiderava essere condotta senza ribellarsi forse le avrebbe permesso di parlare con la sovrana del posto, ma non ne era completamente certa. Ad un tratto si chiese pure dove si fosse diretta l'altra guardia, ma non rimase a crogiolarsi nel dubbio per troppo tempo, conscia del fatto che nel bene o nel male mai avrebbe avanzato pretese verso qualcuno e dal momento che non era lì in veste di ladra non aveva nulla di cui temere.
     
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    Amava stare lì, su quel balcone, a godersi la brezza marina che arrivava fin lassù. Nonostante si trovasse praticamente “in fondo” al mondo, si sentiva come se si trovasse sulla cima. Nel suo piccolo, si sentiva la regina del mondo. Del suo mondo, di certo.
    I capelli neri ondeggiavano leggermente seguendo la corrente d’aria. Ogni giorno, quando aveva un attimo di tregua dalle commissioni governative e personali, si metteva lì al sole; magari con un po’ di frutta e vino, per rendere il tutto più piacevole.
    Il suo momento di pace, il suo angolo di paradiso. Fugaci attimi di quiete prima di tornare alla quotidianità frenetica. Che, per carità, le piaceva tutto quel da fare. Figuriamoci se Jasmine era una persona pigra.
    Ma non c’era paragone.
    Da lassù, poi, poteva ammirare il suo operato. Con fatica e determinazione ferrea si era imposta in quelle terre, facendosi prima accettare dal popolo come amica che come regnante.
    Questa era la chiave: l’amicizia col popolo. Il resto veniva da sé. Doveva essere uno scambio: amicizia e fedeltà, in cambio di progresso e innovazione. Tra bigotti e conservatori, la sua ascesa era stata più faticosa del previsto. Al solo pensiero si ritrovò ad arricciare il naso dal fastidio.

    Un passo leggero dietro di sé, il frusciare di un mantello e di abiti, il tintinnare delle placche di un’armatura.
    Quando si voltò per fulminare con lo sguardo chi osava disturbarla, incrociò il grigio antracite degli occhi di Samus. Nativo Toran che conosceva dall’infanzia, compagno di schiavitù e combattimenti disperati di ragazzini che volevano restare aggrappati alla vita. Anni duri passati a litigare e a farsi dispetti; ma la solidarietà e la complicità che era nata tra i due avevano portato il glaciale e giovanissimo Samus a stare vicino a Jasmine quando venne ferita a morte, durante il suo primo combattimento.
    Istintivamente, le venne da portarsi la mano alla spalla in cui v’erano le cicatrici degli artigli della iena; scacciò il ricordo prima che potesse muovere un muscolo.

    «Un’intrusa, passata dalla porta principale.»

    Le disse semplicemente, lo sguardo imperturbabile che da sempre caratterizzava quel ragazzo. Ma aveva imparato a conoscerlo, e giurò di aver visto un bagliore di stupore e divertimento in quegli occhi selvaggi.
    Gli fece cenno di far entrare l’ospite.
    Un’altra guardia, un ragazzo che non aveva mai visto prima - o forse sì, solo che non le importava – stringeva il braccio di una fanciulla che le parve esile, graziosa nel suo abito cremisi.
    Lineamenti mai visti, tratti fisici mai visti. Aveva visitato il mondo, conosceva i suoi abitanti e le loro etnie. Ma quei capelli turchini, quegli occhi di cielo. Non ne aveva memoria.
    Inclinò il capo, lo sguardo magenta si assottigliò mentre scrutava quella giovane così peculiare.
    Fece un cenno al ragazzo di lasciarla andare, e di dileguarsi. Da lì in poi, ci sarebbe stata Jasmine.
    Un passo nella direzione della ragazza.

    «Allora. ─ cominciò, accarezzandosi il mento. ─ Una ladra non puoi essere. Sei vestita troppo graziosa per essere una ladruncola qualsiasi. D’altronde sei passata per l’entrata principale.»

    Un sorriso da lupo le increspò le labbra, ma non coinvolse lo sguardo.
    Le girò attorno, squadrandola dalla testa ai piedi. Come uno squalo che circonda la prenda prima di azzannarla.

    «Non sei qui per derubarmi. Non ti ho mai vista a Toru, mi ricorderei di te. ─ le si piazzò di fronte, il mento sollevato e le mani sui fianchi. ─ Non ho mai visto tratti come i tuoi. E devi credermi, il mondo l’ho girato parecchio. Perciò la domanda che sorge spontanea, capirai anche tu, è: cosa ci fai qui, ragazza? E da dove vieni, soprattutto!»

    Quei capelli turchini le stavano dando un bel grattacapo. Stava scavando nei suoi ricordi più antichi, più profondi, stava ritrovando persino momenti creduti dimenticati per sempre. Tutto per cercare di ricordare se avesse già visto qualcuno come la ragazza di fronte a lei.
    La risposta le arrivò come uno schiaffo, perché non ci aveva pensato subito? Yamurahia. Quella fanciulla aveva i capelli di Yamurahia. Gli stessi tratti. Solo… non sapeva il paese d’origine della maga di Sindria.
    Pertanto, non parlò. Preferì tacere ed attendere risposte dalla sua ospite.
     
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  5. Dalilah di Musta'sim
     
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    I primi istanti di attesa furono per Dalilah un qualcosa di poco conto, tutto sommato tranquilli.
    Dopo il primo minuto iniziò a spazientirsi; dopo il secondo minuto l'isteria prese a serpeggiare sotto pelle, rendendola inquieta. Al terzo minuto d'attesa iniziò a percepire del sudore freddo formarsi all'altezza della nuca e colare lungo il collo esile, per poi infrangersi contro il bordo dell'abito e bagnarlo. Al quarto minuto era pervasa di un terrore sordo.
    “Perché la guardia ci sta mettendo così tanto?!” si disse, pensando a quanto tempo continuasse a scorrere inesorabile, mentre lei era lì con un braccio bloccato da una salda mano militare in attesa di giudizio o udienza, qualsiasi cosa potesse essere ciò che l'attendeva.
    Era stata terribilmente incauta e ne era pienamente cosciente, ma non poteva di certo presentarsi lì e chiedere udienza come una normale popolana in cerca di elemosina dalla regnante, dal momento che in ben altre occasioni la sua udienza non era stata nemmeno presa in considerazione.
    Si era limitata ad agire d'impulso, nella speranza di poter raggiungere anche solo lontanamente l'obiettivo che continuava a seguire, e sebbene un po' se ne stesse pentendo non si sarebbe tirata di certo indietro ora che stava in piedi in un salone appartenente nientemeno che a Jasmine Ràjah.

    Stava per sospirare dalla frustrazione, ancora immersa nelle sue elucubrazioni, quando la guardia che poco prima si era allontanata fece ritorno e la guidò verso una stanza che presentava una splendida balconata su una facciata; che fosse proprio quella da cui le era parso di scorgere Jasmine quando era entrata? Non poteva di certo esserne sicura, ma una piccola speranza continuava a nutrirla, nonostante tutto, e sperava davvero che la famosa conquistatrice fosse pronta a riceverla sia con le buone che con le cattive.
    “Non ho assolutamente intenzione di desistere, anche a costo di essere presa a schiaffi io continuerò” si disse Dalilah, mentre a passo sicuro avanzava fino al punto in cui entrambe le guardie si fermarono, ovvero al centro del nuovo salone che la fanciulla non volle ammirare, per evitare di apparire agli occhi della regnante come una guardona impertinente.
    Immobile, in piedi in centro alla sala, Dalilah venne liberata dalla presa che costringeva in modo quasi doloroso le braccia per essere lasciata sola di fronte al giudizio di una donna dal portamento fiero e la bellezza accattivante.
    Non sentì nemmeno le guardie indietreggiare fino a dileguarsi, soffermandosi probabilmente lungo i corridoi che poco prima avevano percorso in attesa di richiamo, così come non si accorse dei passi felpati che la donna dai capelli neri come la notte compì esattamente nella sua direzione, avvicinandosi lentamente alla sua figura rigida come una statua di marmo.
    Mantenendo il capo chino e lo sguardo rivolto alla punta degli stivaletti che indossava quel giorno, Dalilah mantenne l'udito in stato d'allerta e ascoltò senza fiatare ciò che la regina di quel posto aveva da dirle.

    La prima affermazione rincuorò la giovane dai capelli turchini.
    Fortunatamente per lei, Jasmine non era stupida come tanti altri regnanti incapaci di distinguere un ladro da una persona munita di intenzioni diplomatiche e questo tornò a suo vantaggio; sebbene non avesse ancora palesato le proprie intenzioni, entrare dal portone principale come la più intima delle ospiti e vestita in modo ricercato erano state buone idee. Voleva così tanto sospirare di sollievo per questa liberazione interiore, ma non osò nemmeno sollevare gli angoli della bocca in modo tale da non mancare di rispetto a colei che, in quei frangenti, la stava osservando attentamente da capo a piedi alla ricerca di un motivo o di una spiegazione.
    Certo, sentire la presenza di una donna così importante attorno a sé la metteva sinceramente a disagio, ma ormai la frittata era fatta e non poteva di certo tirarsi indietro dicendo “scusatemi, ho sbagliato abitazione”. Sarebbe passata per scema, oltre che per impicciona.
    Rimase dunque in silenzio, cercando di mantenere i nervi saldi mentre Jasmine riprendeva la parola e continuava ad esporre il risultato delle sue indagini subitanee.

    “Ecco, ci siamo”
    Fu il suo pensiero, quando Jasmine le pose le due domande più difficili.
    “Chi sei e da dove vieni” erano quesiti a cui aveva cercato di non rispondere mai in tutta la sua vita. O almeno, quando non fosse strettamente necessario ai fini che si era preposta di raggiungere.
    Le risultava ovviamente troppo complicato spiegare alla gente cosa fosse, perché fosse ancora in vita e soprattutto quali fossero le sue intenzioni; spesso era stata fraintesa e tacciata di manie persecutorie nei riguardi dei maghi ormai liberi dall'oppressione che per anni ne aveva sterminati a frotte. Per quanto avesse cercato di giustificarsi in passato, era sempre stata scambiata per una folle sadica affetta da turbe mentali e per questo allontanata di brutto ordine dalle più grandi corti esistenti.
    Ed ora era lì, pronta a confrontarsi ancora una volta con quello scheletro che risiedeva nel suo personalissimo armadio esistenziale, nella speranza di non venire scacciata a calci nel sedere ancora una volta.

    «Mi chiamo Dalilah e vengo da M...»

    Il nome del Regno in cui era nata le morì praticamente in gola, lasciandola ammutolita in un batter d'occhio: rievocare la memoria di un luogo che tanti preferivano non sentire più nominare era sempre fonte di grande disagio e di avversione nei suoi riguardi, ma dal momento che si era messa tanto in gioco doveva arrivare fino in fondo. Serrando dunque le mani ormai sudaticce a pugno, prese un bel respiro e disse.

    «Musta'sim.»

    Il cuore, in quel momento, le crollò praticamente fino alle caviglie come un macigno capace di lasciarla incollata al suolo; si sentiva davvero pesante e incapace di reagire, il sudore gelido che fino a pochi minuti prima si era formato sulla sua nuca ora iniziava ad imperlarle anche la fronte lattea, illuminandola. Deglutendo a fatica, aggiunse la motivazione per cui si trovava lì, l'ultima risposta alla domanda che Jasmine le aveva posto poc'anzi.

    «Sono giunta fin qui perché …. Vorrei rifondare Musta'sim, senza maghi in catene.
    Ma... Nessuno fino ad oggi ha voluto anche solo starmi ad ascoltare.»

    In quel momento le ginocchia le cedettero, facendola crollare al suolo come una bambola rotta; ritrovandosi ormai carponi, Dalilah portò le mani avanti e assunse la posizione della supplica tenendo il capo sempre rivolto verso il basso. Con gli occhi chiusi e le mani posate sul pavimento fresco, iniziò ad implorare la grazia di Jasmine, la sua unica e ultima speranza.

    «Vi prego, guidatemi voi.
    Insegnatemi ciò che sapete, aiutatemi nel mio intento... Non lo faccio per manie di grandezza o altro, ma per dare una seconda chance a tutti coloro che desiderano una seconda opportunità dalla vita. Però non so come fare, non so nulla di Regni e politica, per questo sono giunta fin qui...
    Vi prego, aiutatemi. Diventate la mia guida, Jasmine.»
     
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    Effe ف

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    La ragazza di fronte a lei, Dalilah, aveva la fronte imperlata di sudore. Jasmine non s’aspettava che semplici domande del genere scatenassero quella reazione. Le aveva poste molte volte, soprattutto ai piantagrane, ma non avevano mai avuto tale comportamento di fronte a certi quesiti semplici.

    Musta’sim.
    La risposta che non si sarebbe mai aspettata.
    Un nome che credeva perduto tra le pieghe del tempo, scomparso tra le ombre del passato.
    Di Musta’sim non sapeva molto. Non godeva di buona fama, la famiglia reale era stata sterminata in seguito alla rivolta. L’occasione in cui gli stregoni compirono terribili crimini: non si comportarono molto diversamente rispetto a coloro che disprezzavano tanto.
    Sapeva, inoltre, che il suo paese natale, Parthevia, aveva tentato di conquistare le terre del regno. Ma era successo molto tempo fa, quand’abitava ancora nell’impero.

    L’espressione di Jasmine era cupa mentre rimuginava sul passato oscuro di quella zona del mondo, mentre rifletteva sulla sua visione vagamente controcorrente rispetto al mondo.
    Disprezzava gli stregoni. Musta’sim gli utilizzava come schiavi qualsiasi, loro si erano ribellati compiendo atrocità contro persone innocenti, donne e bambini; si erano ribellati alla schiavitù, ma per vendetta di un vecchio pazzo continuavano a compiere crudeltà. Un modo di vedere la storia che a Magnostadt celavano meticolosamente.

    «Io ti aiuterò, Dalilah da Musta’sim. Per prima cosa, garantirò per te con le altre nazioni finché non sarai abbastanza autonoma politicamente ed economicamente da garantirti da sola.»

    Decretò, convinta dalle intenzioni della giovane.
    La donna si chinò di fronte alla ragazza con i capelli turchini, i gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo fisso su di lei. Si pose alla sua altezza, comprendendo poco a poco come Dalilah avesse vissuto fino a quel momento. Tormentata dal passato di un Paese, giudicata male per colpe che non aveva commesso e costretta a celare la sua identità. Doveva esser stato difficile, Jasmine se lo immaginava.

    «Dubito che lo spirito patriottico ti abbia portato ad una simile decisione, io dico che c’è dell’altro.»

    Una breve pausa, le lanciò un’occhiata penetrante, ma non severa come suo solito. Sembrava volerle scavare nell’anima solo con lo sguardo.

    «Non voglio sapere il tuo nome: la gente ne ha mille e altrettanti soprannomi, sembra la cosa più banale e scontata che esiste, oramai. Io voglio sapere chi sei tu.»
     
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  7. Dalilah di Musta'sim
     
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    L'aiuto.
    Ciò che tanto aveva desiderato finalmente giungeva e in quel momento le parve quasi un sogno.
    Il capo scattò verso l'alto e i suoi occhi si ritrovarono a fissare a mezza via quello purpureo di Jasmine. Ammaliata da tanta esotica bellezza, Dalilah rimase in silenzio contemplativo per diversi istanti, prima di poter anche solo provare a boccheggiare qualcosa di vagamente sensato.
    Avrebbe tanto voluto ringraziare quella donna dai capelli neri per l'aiuto che aveva deciso di concederle e lo avrebbe fatto sicuramente di lì a poco, ma prima doveva rispondere a domande che difficilmente affrontava nella vita comune, figurarsi durante un colloquio nel quale c'erano in palio Musta'sim e la sua rinascita dalle macerie.

    Deglutendo con la gola completamente riarsa, Dalilah provò l'orribile sensazione di trovarsi messa alle strette e, anche se con ritrosia, decise di rivelare ciò che era a colei che attualmente aveva tra le proprie mani le sorti del suo Regno. D'altro canto era il minimo che potesse fare rispetto a ciò che Jasmine stessa aveva appena garantito di fare per lei, che non era cosa da poco dopo tutte le porte che si era vista chiudere in faccia.
    Prendendo dunque un bel respiro e chiamando al contempo a raccolta tutta la pazienza di cui necessitava per affrontare un discorso che ogni volta la metteva di cattivo umore per via di ciò che comportava tale rivelazione, si risolse a dire.

    «Sono la figlia illegittima dell'ultimo Re di Musta'sim, nata da una relazione clandestina avuta con la dama di compagnia della Regina. Praticamente ...Sarei la sorellastra di Dunya, l'ultima principessa di Musta'sim. Non vado fiera del mio titolo e del sangue che scorre nelle mie vene perché so di essere una bastarda ancora in circolazione e assieme a me c'è anche mio fratello gemello Brahim, disperso chissà dove in qualità di schiavo.
    In molti mi vorrebbero imprigionare e schiavizzare, sfruttando il mio albero genealogico per guadagnare il doppio del denaro ad ogni sfruttamento, per questo solitamente mi guardo bene dal rivelare chi fosse mio padre.»

    Ammettere quella triste e bruciante realtà le fece salire la bile nell'esofago, rendendola improvvisamente indisposta di fronte a Jasmine stessa; impallidendo più del dovuto, Dalilah dovette prendere un paio di profondi respiri prima di proseguire con le proprie spiegazioni sul perché volesse tanto ripristinare un Regno morto e sepolto, per di più detestato dalla stragrande maggioranza della popolazione mondiale per le pratiche schiaviste indegne perorate fino all'ultimo giorno di vita. Era alquanto difficile rivelare la motivazione che l'aveva spinta fin lì, in ginocchio a Toru, a chiedere aiuto e supporto per Musta'sim, ma dal momento che il suo senso dell'onore e della gratitudine le imponevano di essere sincera fino alla fine si risolse a rivelare anche la seconda parte dei suoi segreti più profondi.

    «Per quanto riguarda la rinascita di Musta'sim...Beh.
    Potrà sembrare da stupidi far rinascere un Regno detestato da tutti per questo motivo, ma vorrei farlo per ritrovare mio fratello Brahim.
    Probabilmente sarà morto da tempo a causa della schiavitù a cui lo hanno costretto anni fa e io sto faticando per niente, ma nel profondo del mio cuore sento che lui è vivo da qualche parte in questo mondo e voglio ritrovarlo a tutti i costi. Vorrei potergli donare la felicità che ha dovuto sacrificare per salvare tutti noi quella volta, quando anni fa si propose come schiavo nella speranza di esentare me in primis da una condizione che mi avrebbe condotta sicuramente alla morte nel giro di pochi anni. Si propose ad uno schiavista indegno e se ne andò con lui lasciandomi libera di continuare la sua vita, promettendomi che prima o poi sarebbe tornato da me... Anche se non l'ha mai fatto.
    Sto cercando di far conoscere il mio nome per attirare l'attenzione di coloro che lo hanno e che sicuramente sarebbero disposti a vendermelo per un capitale che attualmente posseggo solo a metà.
    Ho conquistato due Dungeon per questo motivo e sono stata scelta da Yunan come futura regina, credo che le mie buone intenzioni valgano qualcosa... Inoltre voglio rifondare Musta'sim per creare un Regno dove tutti gli schiavi liberi possano trovare un rifugio sicuro, una terra in cui ricominciare da zero e soprattutto senza catene.
    E a capo di questo Regno voglio metterci mio fratello, il primo riscattato da una condizione terribile come quella della schiavitù.
    So molto bene che le mie parole possono sembrare un insieme di buone intenzioni senza fondamento, ma intendo arrivare fino in fondo e realizzare questo sogno che coltivo da anni e anni.
    La mia terra natia è caduta a causa della schiavitù; ho perso mia madre in quella strage e sempre a causa della schiavitù mi sono vista portare via mio fratello.
    Sogno un posto dove quella pratica terribile sia abolita completamente e le persone possano decidere serenamente e soprattutto assieme del loro destino.
    Tutto qui.»

    Per tutto il tempo Dalilah aveva guardato Jasmine senza timore, con una risoluzione tale che i suoi occhi si erano illuminati di un ardore e una determinazione senza precedenti. Sapeva di aver rivelato molte delle sue intenzioni che mai a nessuno aveva detto, ma lo stava facendo per una buona causa, un motivo più che valido da cui dipendeva buona parte del suo futuro.
    Prendendo dunque un bel respiro, chiese.

    «Vi ho convinta o mi credete una pazza sciroccata?»

    Non si aspettava di essere presa in parola nell'immediato, ma riteneva un grande passo avanti l'essere stata ascoltata fino a quel punto, quando nella stragrande maggioranza dei casi non era nemmeno stata ricevuta dai regnanti degli altri paesi.
     
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